mercoledì 12 febbraio 2020

BlogScreen: My Hero Academia – the movie: Two Heroes

My Hero Academia – the movie: Two Heroes” (Boku no Hīrō Academia – the movie: Futari no Hīrō) è il primo film tratto dal celebre manga di Kōhei Horikoshi.
Non mi dilungherò troppo sulla serie originale da cui è tratto, perché vorrei provare a fare una recensione mirata e sintetica. Per chi non ne sa nulla ed è curioso (anche se dubito verrebbe a leggere qui), rimando a un mio successivo post in cui recensirò la serie principale – oppure a un qualunque sito informativo, tipo Wikipedia, che forse è pure più semplice e immediato.




Partiamo subito con la domanda fondamentale: mi è piaciuto? . Pistola alla testa, però, propendo più per il no che per il sì.
Come ho già detto per “TheSeven Deadly Sins – Prisoners of the Sky”, è facile che un film d’animazione tratto da un anime di successo non sia di particolare impatto, neppure per i fan della serie. Anzi, forse soprattutto per loro. Tuttavia, “MHA – Two Heroes” è fin troppo scontato e riassuntivo persino per quella casistica... e soprattutto stanca non appena entra nel vivo.
Le premesse non sono neanche malaccio: un parco a tema sta per essere inaugurato su un’isola iper-tecnologica, allo scopo di presentare in modo divertente le invenzioni sviluppate dagli scienziati che abitano lì. Non si tratta di studiosi qualunque, ma di coloro che nella vita si occupano specialmente di fornire supporto agli Heroes.

Tuttavia, l’atollo di cemento e ritrovati cyber-tech viene preso di mira da un gruppo di Villain proprio durante la visita di alcuni finanziatori e del celebre eroe All Might. Assieme a lui, ovviamente, compariranno quasi tutti gli alunni del Liceo Yuei, la scuola per supereroi dove studiano i protagonisti della serie principale… e qui arriva la prima stonatura. Da un lato, un paio di personaggi comprimari tutto sommato interessanti e ben caratterizzati, con tanto di flashback sul periodo giovanile del Number One Hero; dall’altro, il solito gruppetto di aspiranti eroi che si trova riunito per caso e in modo così forzato da apparire del tutto implausibile, anche per il più permissivo dei fan. Io, per intenderci, sono di bocca buona, ma pretendo che il patto narrativo sia rispettato il più possibile: se viene a mancare quel minimo di credibilità che rende coerente una storia, come faccio a non trovare la narrazione straniante? Passino le visite fortuite di due o tre amici del protagonista principale, Izuku Midorya, ma tutta la classe? Alcuni compagni, addirittura, sono lì perché stanno svolgendo un lavoretto estivo. No, dai. Implausibile.
Ovviamente, verranno tutti coinvolti nell’attacco del Villain di turno e dei suoi scagnozzi… e anche qui, deglutiamo a fatica. L’antagonista è tratteggiato in modo semplicistico, senza spessore e con un potere che più banale non si può. Insomma, risulta incapace di colpire lo spettatore in qualsivoglia modo: non lo odi, il che toglie pathos ai duelli, ma nemmeno riesci a empatizzare con lui. Al massimo, provi un po’ di fastidio per il fatto che sia qualcuno di così poco carismatico a rappresentare una minaccia. Sarà che la serie principale ci ha abituati ad altri standard, ma manca completamente d’impatto.
I suoi aiutanti, poi, sono del tutto irrilevanti (e rendono ancor meno interessanti i già poco entusiasmanti combattimenti di intermezzo).
L’animazione, quella sì, non è affatto male, e i personaggi si muovono in modo splendido e fluido anche nei momenti di massima concitazione.
Dunque, solo il lato tecnico ha qualcosa da offrire? No, non proprio. In realtà, è costruito in modo molto efficace il parallelismo tra All Might e Deku/Midorya, vero leitmotiv anche della prima parte del manga. Grazie ad esso si esalta – per via di alcune buone trovate registiche – il concetto di passaggio di consegne tra maestro e allievo, sottolineando l’ottima costruzione del personaggio principale e lo spessore della sua crescita caratteriale.
Bon, stop. Per il resto vale quanto sopra. I fan si godano questa ora e mezza abbondante di MHA consci che non ci troveranno nulla di nuovo; se l'obiettivo, invece, è quello di sbocconcellare la formula già sperimentata nella serie principale, allora buon appetito.

martedì 11 febbraio 2020

Le scelte dietro al libro "J.J.J." - secondo appunto

Prosegue la (piccola) rubrica che svela alcuni retroscena sul romanzo. Lo so che questi dettagli sono fondamentalmente inutili, ma lo scopo dei post è dare la possibilità a chi mi segue di approfondire anche gli aspetti più marginali e arricchire la sua esperienza di lettura con qualche curiosità relativa alla stesura.
Varrà poco, ma risponde al desiderio che io avevo da bambino quando, finito un bel libro, mi trovavo a fantasticare su quali decisioni avevano spinto lo scrittore di turno a fare determinate scelte e, ancor più, a chiedermi se non vi fossero aneddoti interessanti dietro il suo operare.

venerdì 31 gennaio 2020

BlogScreen: The Seven Deadly Sins – Prisoners of the Sky


Da lettore vorace di manga (fra questi, anche The Seven Deadly Sins/Nanatsu no Taizai), devo ammettere di essermi approcciato al film con il classico timore di chi sa benissimo che al 90% resterà deluso.
Ok, ok, forse sto esagerando, ma diciamo che tendenzialmente fatico ad apprezzare i corto/lungometraggi dedicati a una serie che seguo appassionatamente su un altro medium. La mia premessa è doverosa, in quanto non sono certo di poter formulare un parere del tutto oggettivo (e quando mai?).




Ora, se quanto detto sopra normalmente risulterebbe un vantaggio per un film tratto da uno shonen (poiché le basse aspettative difficilmente possono essere tradite e, per contro, la risalita è assai più rapida), nel caso specifico di “The Seven Deadly Sins – Prisoners of the Sky” devo ammettere che non è stato così, in quanto nutrivo la segreta speranza di un ritorno alle origini – una sorta di revival di quella formula semplice che mi aveva conquistato ai suoi esordi. Ahimé, anche se la semplificazione di alcuni passaggi ha indubbiamente spinto verso la riconquista di un’identità ormai quasi perduta, la banalità dell’insieme e alcune scelte decisamente poco digeribili hanno fatto sì che le mie aspettative fossero disattese e, nel complesso, ne rimanessi alquanto deluso.

Andiamo al sodo: non stiamo parlando di un bel film d’animazione, per quanto mi riguarda. Sì, tecnicamente si difende bene, dato che le animazioni risultano per lo più fluide e i disegni si avvicinano a quelli del manga in modo più marcato rispetto alle ultime puntate dell’anime (ebbene sì, ho visto anche le stagioni su Netflix, oh!); persino registicamente mi è sembrato funzionare abbastanza bene.
Cosa non torna quindi?
Innanzitutto, la sceneggiatura e il character design. Ho scoperto grazie agli intermezzi presenti sugli ultimi numeri del manga che entrambi sono stati supervisionati, quando non creati, direttamente dall’autore, Nakaba Suzuki. La storia l’ha addirittura pensata lui.

Qualche spunto interessante, infatti, c’è, ma in generale la sensazione di aver a che fare con un “filler”, un mero riempitivo del prodotto originale, è fin troppo preponderante. Per carità, è la sua natura, essendo un’aggiunta bella e buona alla trama – vale per tutti i film tratti da serie di successo, in fondo. Tuttavia, di solito si tratta di un arricchimento, un plus che resta in linea con il filone principale, senza troppe sbavature o stonature. La classica sensazione di organicità che mi sarei aspettato da un intermezzo, insomma, qui è mancata.

Troppo lento nella parte iniziale e troppo frenetico dalla metà in poi? Troppi combattimenti brevi e privi di pathos? Nemici banalotti dal design decisamente poco ispirato? Eventi e dettagli che non si allineano con quanto visto sul fumetto?
Scegliete voi.
Il mangaka (l'autore del manga, n.d.Blaze) ha ammesso di aver partecipato a questo progetto in un periodo già molto impegnativo e stancante e forse la cosa avrà contribuito.

In ogni caso, non è tutto da buttare: se è vero che si perde tempo a dare minutaggio a tutti i personaggi comprimari – sindrome assai frequente in lavori di questo stampo – dall’altro lato nessuno di loro viene snaturato; le loro scene d'azione non risultano noiose. Le citazioni per gli appassionati, poi, ci sono e un paio di idee (una su tutte, il “mostro finale”) risultano interessanti.
L’antagonista principale è l’unico character design esteticamente riuscito, tra i “Sei Cavalieri Neri”, ma non brilla per carisma. Il gruppo dei cattivi, a questo giro, poteva anche essere ridotto di numero per dare ai singoli più spazio (al massimo, se proprio vuoi far vedere tutti i Sette Peccati in azione, li dividi in gruppetti e li fai combattere due/tre contro uno, no?). La sensazione generale è che non ci sia nessuna vera sfida – quindi non si genere nessuna empatia coi personaggi – e che i 100 minuti scarsi di durata siano persino pochi. In qualche modo, però, non mancano passaggi noiosi, il che è una strana alchimia.
Per un grande fan può risultare gradevole, forse, gli altri se ne tengano lontani.

Commento extra per chi legge il manga e ha già visto il film (quindi spoiler):
Che cacchio è il colpo finale che lancia Meliodas con i poteri dei suoi compagni? Sembra la versione mal realizzata del Revenge Counter, ma senza senso e con una sfumatura arcobaleno alla Sailor Moon. Mah! Evitabile.


giovedì 30 gennaio 2020

Le scelte dietro al libro "J.J.J." - primo appunto

Katana - katane?
Una breve spiegazione circa la scelta di mettere in "J.J.J." il nome delle celebri spade giapponesi solo al singolare (una questione che, vi confesso, è divenuta un piccolo dilemma in fase di rilettura).

In realtà, si tratta di una preferenza fin troppo semplice da illustrare, dato che la maggior parte dei dizionari presenta il sostantivo straniero come invariabile (mantiene, cioè, la forma singolare anche al plurale, n.d.B.).
Perché arrovellarsi, dunque? Beh... perché si sente dire e si trova scritto quasi ovunque (su forum dedicati e non, sui social, persino su qualche rivista) "le katane" e non "le katana".
So che la formula prescelta (le katana) è, dunque, corretta, ma non me la sento di criticare chi finisce per assimilare e italianizzare il termine, fino a modificarne la desinenza. Certo, se una parola straniera termina con consonante è piuttosto semplice evitare acrobazie morfologiche (a chi verrebbe mai in mente di aggiungere qualcosa a "manager", al plurale? Magari una -s, nel rispetto della grammatica anglosassone, toh!), ma quando la vocale finale e l'uso frequente si prestano a facili collegamenti con altri termini più comuni?
Insomma, la faccio breve: se qualcuno dei miei autori preferiti scrivesse "le katane", forse non me ne accorgerei nemmeno - e di sicuro non mi scandalizzerei!
Se vi va, dite pure la vostra nei commenti qua sotto. A tutti, a prescindere, buona lettura!

-Blaze

(Post pubblicato sul profilo Facebook di J. S. Blaze il 26/01/2020)

mercoledì 10 luglio 2019

BlogScreen: Toy Story 4



Per i fan di vecchia data, la pellicola in questione è stata caratterizzata sin da principio da una forte dicotomia: da una parte c’era la nostalgia per il titolo, mentre dall'altra la convinzione che una conclusione degna (e, a costo di risultare ridondante, realmente definitiva) fosse già stata raggiunta col terzo capitolo.

Io sono di bocca buona, tutto sommato non mi faccio grossi problemi se un brand sforna nuovi episodi e una storia apparentemente già in pace viene rimescolata un po’ - in fondo, se il film mi piace, poco mi cale di cascare in operazioni di marketing. Ciò detto, per una volta mi tocca contraddirmi: mi sono genuinamente divertito a vedere le nuove vicende di Woody & Co., tuttavia, pur non avendo registrato particolari cali di interesse durante la proiezione, devo ammettere che questo ulteriore finale non riesce a scalzare dal podio il pathos del film precedente e, conseguentemente, non riduce di una virgola lo spessore del suo “The End”.

Insomma, Toy Story 4 è un film piacevole di cui, però, non si sentiva davvero il bisogno. Ho visto che in molti hanno voluto precisare che, sì, il terzo ha una carica emotiva superiore, ma questa conclusione è più azzeccata, perché chiude i discorsi in sospeso e chiosa il ciclo narrativo del suo protagonista, Woody. Io dissento: altri film possono benissimo nascere dai presupposti gettati una volta giunti ai titoli di coda. Non sono, quindi, convinto che si tratti dell’ultimo sforzo della Pixar verso questa saga: si potrebbe tranquillamente immaginare un piccolo spostamento di focus e le vicende dei nostri giocattoli preferiti continuerebbero a far divertire. In un certo senso, questo film ne è la dimostrazione lampante, dato il ritorno (decisamente forzato) di alcune vecchie conoscenze. Non ci sarebbe nemmeno nulla di male, tanto per essere chiari.

La trama, per dar a questa recensione la parvenza di essere composta secondo i giusti crismi, per come la vedo io è abbastanza originale e articolata: Woody soffre il fatto di non essere il giocattolo preferito della bambina a cui è stato affidato, ma lotta per garantirle il massimo del benessere durante la difficile fase di transizione da casa ad asilo. In tutto ciò, anche grazie ad alcuni espedienti narrativi interessanti (anche se non sempre innovativi), riscopre il ruolo che i “balocchi per bambini” dovrebbero avere e ottiene maggiore consapevolezza di se stesso e di ciò che desidera realmente.

Quasi un racconto di formazione, non fosse per il forte background che accompagna il protagonista (già "adulto") e la necessità di semplificare la formula narrativa della presa di coscienza.

Le avventure sono rocambolesche e spassose, le battute non eccessive (l’umorismo batte maggiormente sulla caratterizzazione dei personaggi e sulle situazioni al limite del ridicolo, cosa che poi è sempre stata la cifra stilistica della serie) e l’intreccio non privo di mordente.
In definitiva, un film riuscito, molto piacevole anche visivamente: la Pixar ha saputo migliorare le animazioni senza snaturarleConsigliato, insomma, ma non imprescindibile. Il picco lo avete visto in Toy Story 3.

lunedì 1 luglio 2019

"J.J.J.", ovvero il mio romanzo finalmente pubblicato


Ed eccolo qua, finalmente!
"J.J.J.", il mio primo libro, è disponibile sullo store Kindle con la copertina della bravissima Elena Ominetti!

Si tratta di un romanzo fantasy medievale che si discosta un po' dai classici del genere: ambientato su un'isola che ricorda molto da vicino l'arcipelago giapponese per tradizioni e folklore, vede come protagonista Taba, un guerriero in realtà originario delle terre lontane, ma giunto in quel paese in cerca di vendetta verso l'entità nota come Majin.
Voglio subito rassicurare chi già si preoccupa di aver a che fare con il primo tassello di una saga, come tipico nel fantasy: non è così. La storia raccontata è completa, fatta e finita.

Per quanto il testo sia disponibile solo in formato eBook, mi auguro riesca a raggiungere il maggior numero di voi e vi faccia fuggire dallo stress della vita quotidiana per qualche ora.
Ah, valutatelo e recensitelo se potete, che all'algoritmo di Amazon piace questa cosa. :P

Infine, a tutti coloro che mi hanno sostenuto negli anni (o che mi hanno anche solo incoraggiato una volta), ovviamente, va il mio ringraziamento.



martedì 19 dicembre 2017

Lo sfogo privo di pretese

Nessuno mi costringe a cantare una canzone,
ma tutti mi voglion dire come devo fare
a darle ritmo, a darle parole nette e chiare,
a far di tutto il testo un'unica emozione.

Ma secondo voi, quanto mai potrai fregarmi
di lasciare indietro note, pensiero e rima
e guardar al giusto modo per far prima
nel cercare qualche editore a cui legarmi?

No, va bene che oggigiorno basta il pretesto,
basta scrivere un pensiero sul proprio cellulare,
basta reinventare la metafora della vita come mare;
insomma: metter su due righe e fare un testo,

per dirsi bardi e cantori di questa nuova era,
inaugurata da un biglietto con un bel aforisma
- poeti di carta che hanno il numero della risma
ma non la forza della parola crespa e vera.

Cosa volete che sia, per me, il far poesia?
Non lo vedete che si tratta di un capriccio?
Perché dal vivo non parlo, mi chiudo a riccio
e do voce alla penna, che vince ogni afasia.

Eh, no! Ma quale intento pedagogico!
Non è che scrivo per farmi sentire,
'ché di altri a me mancano le mire
di far illustre uno sfogo fisiologico;

scrivo per un'esigenza primordiale
- e pazienza se il messaggio viene lungo!
Che anche se non piace io la mungo
quest'esperienza meta-psico-sensoriale.

Avrei dovuto smettere di scrivere da un po'?
I neologismi sono per i poeti navigati?
Mi dispiace, son tra i meno fortunati
e persino la rima si trasforma in un ohibò!

Ma che vuoi farci? Queste son le stonature!
Troppi scarabocchi e brutture per fare festa
per chi si auto-invita nella mia testa
e vuol dettar legge e le proprie posature.

A te che sei rimasto anche alla fine del baccano,
offro un bicchiere della mia migliore ispirazione.
È vero, c'è il sentore di una brutta delusione,
ma la corposità di un sogno che va gustato piano.

Resta ancora, se ti va, tienimi pure compagnia.
Spizzica quel testo, l'ho fatto senza istruzioni.
È raro e pregiato: sono speranze, non illusioni.
Non preoccuparti, offro io. Benvenuto a casa mia.